Il Manifesto di abbandono, con cui nel 1581 i nederlandesi avevano dichiarato decaduto dalla signoria sui Paesi Bassi il re Filippo II di Spagna, aveva affermato come cosa nota a tutti che un principe è posto come tale da Dio non affinché i sudditi facciano tutto ciò che egli pretende e comanda, ma affinché egli faccia il bene dei suoi sudditi; sì che, se egli non fa il loro bene, ma il loro male, essi hanno, secondo diritto e ragione, e legge di natura, non soltanto il diritto, ma anche il dovere di sostituirlo, anche a rischio dei loro beni e del loro sangue, con un altro principe, che riconosca e garantisca le loro antiche libertà e diritti preesistenti alla sua ascesa al potere.
Passato dalla Nederlandia all’Inghilterra con Guglielmo III d’Orange e nel suo Bill of Rights, che nel 1689 pose fine alla Gloriosa rivoluzione e al regno di Giacomo II Stuart, e dall’Inghilterra passato poi, nel 1776, nella Dichiarazione d’indipendenza degli USA, il principio per cui i cittadini sono portatori di diritti, che preesistono ai governi e che questi sono pertanto tenuti a rispettare, pena la loro doverosa sostituzione da parte degli stessi cittadini, passò infine nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, approvata nel 1789 dall’Assemblea Costituente della Rivoluzione Francese, da cui poi passò in tutte le costituzioni liberali, che nel corso dell’Ottocento posero fine alle monarchie assolute europee, trasformandole in monarchie costituzionali.
Monarchie costituzionali, nelle quali il potere politico non era più derivato soltanto da Dio né accentrato tutto nella persona del monarca né esercitato da funzionari di sua nomina e fiducia, ma era ripartito, secondo il modello inglese teorizzato nel 1748 da Lo spirito delle leggi del barone di Montesquieu, in potere legislativo, esecutivo e giudiziario, ed esercitato da corpi istituzionali diversi e non più assoluto, cioè non più sciolto, in latino absolutus, da ogni legame, ma vincolato al rispetto dei diritti dei cittadini, che la costituzione ora riconosceva come preesistenti al potere politico e pertanto non derivanti da esso.
Questa priorità dei diritti umani sul potere politico e la conseguente subordinazione e funzionalità di questo potere al riconoscimento e soddisfacimento di quei diritti, affermata con chiarezza dal Manifesto di abbandono fino a tutte le costituzioni liberali del XIX secolo, nel 1919, finita la prima guerra mondiale e crollato il Reich bismarckiano, fu accolta anche dalla nuova Costituzione del Reich tedesco o Costituzione della repubblica di Weimar, che, oltre ai diritti civili e politici, ormai acquisiti dalle costituzioni liberali precedenti, riconosce e garantisce anche i diritti sociali dei cittadini, già presenti in embrione nella Costituzione della prima Repubblica francese del 1793, ma evidenziati e imposti soprattutto dalle lotte operaie della seconda metà dell’Ottocento e del primo Novecento.
In questi stessi decenni, tuttavia, emergeva e progressivamente si affermava tra gli studiosi la concezione hegeliana dello Stato etico, cioè dello Stato inteso come sintesi dialettica dei diritti individuali e dei precetti morali della società civile.
Dalla concezione dello Stato etico, che Hegel aveva esposto nel 1821 nei suoi Lineamenti di filosofia del diritto, il positivismo giuridico tedesco dominante nella seconda metà dell’Ottocento, per dare certezza e solidità scientifica al mondo del diritto, lasciato cadere l’antichissimo ma impreciso concetto stoico e cristiano di diritto naturale, non scritto ma derivante dalla natura dell’uomo, aveva invece considerato diritto soltanto quello contenuto nelle leggi statali scritte.
In particolare, nel 1865, Carl von Gerber aveva sostenuto che i diritti individuali non sono altro che “diritti riflessi”, cioè diritti che giungono all’individuo come riflesso della decisione dello Stato di ritrarsi dalla sfera individuale, così che l’individuo tornava a essere in balia dello Stato, che, sciolto dal dovere di rispettare diritti e libertà ad esso preesistenti, tornava a essere fonte unica del diritto, cioè tornava a essere uno Stato giuridicamente assoluto.
Questo ritorno al principio premoderno, secondo cui i diritti individuali sono concessioni del potere politico, che li concede e li toglie a chi vuole, come e quando vuole, permise al nazismo tedesco di varare nel 1935 le leggi razziali di Norimberga e al fascismo italiano di varare nel 1938 le proprie leggi razziali, che resero legali le loro persecuzioni e uccisioni sistematiche di avversari politici, devianti sociali, ebrei, rom e sinti nei loro lager di lavoro forzato e sterminio sistematico soprattutto durante la seconda guerra mondiale, che, iniziata il 1° settembre 1939, provocò la morte di oltre cinquantacinque milioni di persone.
Il 25 aprile 1945, mentre l’Italia settentrionale insorge contro tedeschi e fascisti, Berlino subisce l’attacco finale dei russi e la guerra con il Giappone è ancora in corso, i rappresentanti delle nazioni, che nel 1942 avevano firmato la Dichiarazione delle Nazioni Unite e quelli che vi avevano aderito successivamente per sostenere la guerra condotta da Inghilterra e USA contro le potenze dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo, si riuniscono a San Francisco, in California, dove il 25 giugno approvano e il 26 firmano la Carta delle Nazioni Unite, che istituisce l’Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU.
Nel solenne preambolo, i «popoli delle Nazioni Unite» si dicono decisi a «riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole».
Sei mesi dopo, il 10 gennaio 1946, a Londra, nella sua prima sessione, l’Assemblea generale dell’ONU costituì il Consiglio di sicurezza, il Consiglio economico e sociale, e la Corte internazionale di giustizia.
Il 16 febbraio 1946, il Consiglio economico e sociale nominò una Commissione per i diritti umani, composta di nove membri, poi detta «commissione nucleare», perché costituì il nucleo della commissione definitiva, che, istituita il 21 giugno, composta da diciotto membri e presieduta da Eleanor Roosevelt, terminò i lavori il 18 giugno 1948, con un progetto di dichiarazione, cui aveva molto contribuito con la propria dottrina il giurista francese René Cassin.
Esaminato e discusso dal 30 settembre al 6 dicembre dalla sua Terza Commissione, competente per i problemi sociali, culturali e umanitari, il progetto finale fu discusso dall’Assemblea generale il 9 e il 10 dicembre, quando, verso mezzanotte, fu votato per appello nominale, venendo approvato con 48 voti favorevoli, 8 astensioni, nessuno contrario.
Gli astenuti furono i paesi del blocco sovietico – Bielorussia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia, Ucraina e Unione Sovietica – che lo giudicavano privo di concretezza sociale e giuridica; l’Unione Sudafricana, che lo riteneva inattuabile, perché troppo impegnativo dal punto di vista sociale; e l’Arabia Saudita, che non ne condivideva né la libertà religiosa né la parità giuridica tra uomo e donna nel matrimonio e nella vita civile.
Redatta in quelle che allora erano le cinque lingue ufficiali dell’ONU – cinese, francese, inglese, russo e spagnolo – e tradotta oggi in più di trecento lingue e dialetti, la Dichiarazione universale dei diritti umani ricorda molto alcuni grandi documenti precedenti, in particolare la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, di cui la commissione preparatoria aveva ripreso ampiamente la terminologia e la struttura argomentativa: preambolo di motivazione, formula di proclamazione, articoli conseguenti.
L’Assemblea generale dell’ONU, poi, si richiamò anche fisicamente a essa, tornando a riunirsi per approvare la Dichiarazione universale dei diritti umani a Parigi, dove l’Assemblea Costituente della Rivoluzione Francese, rovesciandone l’antico rapporto di priorità, aveva dichiarato la priorità dei diritti umani sul potere politico, che deve garantirne la protezione e il soddisfacimento.
Il canto Diritti e libertà, di cui il libretto Concerto Civile riporta il lungo testo integrale della Dichiarazione universale dei diritti umani, presenta qui soltanto alcuni di quei diritti e di quelle libertà, intervallandone le strofe con un ritornello – Giustizia e libertà, / lavoro e dignità, / cultura e tolleranza / nella solidarietà – che ne sintetizza e rilancia il messaggio di rispetto dei diritti umani e di pacifica collaborazione tra le nazioni.
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