Nell’estate del 1785, ospite del suo editore Georg J. Göschen a Gohlis, un sobborgo di Lipsia, e ispirato dalla grande amicizia da lui stretta con il colto giudice Christian G. Körner – futuro padre del giovane poeta-soldato Theodor, alla cui “illustre memoria” Alessandro Manzoni dedicherà l’ode Marzo 1821 – Friedrich Schiller, allora ventiseienne, mentre ancora lavorava al secondo atto del grande dramma Don Carlos, scrisse l’ode An die Freude, Alla Gioia, che pare egli inizialmente intitolasse Alla libertà, pubblicandola poi, l’anno stesso, sulla propria rivista Thalia.
Benché l’ode fosse ben presto diventata assai nota, Schiller, in verità, non ne era soddisfatto. Così, nel 1800, scrivendo all’amico Körner, dalla cui amicizia quindici anni prima era stato ispirato, gli diceva: “La tua propensione per questa poesia può basarsi sull’epoca della sua origine; ma questo le dà anche l’unico valore, che essa ha, e soltanto per noi, e non per il mondo né per l’arte poetica.” Perciò la ritoccò più volte, sì che nell’edizione postuma, pubblicata nel 1808, tre anni dopo la sua morte, risultano modificati due versi della prima strofe, mentre l’ultima risulta omessa.
Nel frattempo, tuttavia, l’ode Alla Gioia, come ha scritto Luigi Della Croce nel suo Beethoven, “era divenuta una specie di manifesto della massoneria e in alcune logge austrotedesche veniva recitata o cantata come parte del rituale”.
Fu così, cioè attraverso i propri maestri massoni di Bonn, dove egli era nato nel 1770, che l’ode fu conosciuta dal giovane Ludwig van Beethoven, che già nel 1792, ventiduenne, si proponeva di musicarla “strofe per strofe”.
Composta di nove ottave e altrettante quartine, l’ode Alla Gioia era stata, infatti, scritta da Schiller come un canto d’osteria, in cui un gruppo di uomini, riuniti intorno a un tavolo, alternandosi tra solista che canta le ottave e coro che gli risponde con le quartine, brindano alla Gioia, figlia dell’Elisio, ricordando le diverse situazioni, in cui essa si manifesta, e magnificando gli effetti benefici di fratellanza universale, che produce tra gli esseri umani, che vivono e agiscono nel mondo sotto lo sguardo di un “padre amabile”, che deve risiedere “oltre il velo delle stelle”.
Anche se negli appunti e in alcune composizioni degli anni successivi si trovano versi e spunti melodici anticipatori della grandiosa composizione finale, Beethoven si dedicherà seriamente a essa soltanto trenta anni dopo, cioè dal 1822, quando, accettando la proposta della Philarmonic Society di Londra, che “era praticamente una filiazione della massoneria”, scrive Della Croce, e di cui era membro il suo allievo Ferdinand Ries, che gli aveva procurato la commissione di lavoro con un compenso di cinquanta sterline, egli iniziò a comporre per essa la sua Nona Sinfonia, che nel quarto movimento riprendeva, adattandole per soli, coro e orchestra, le prime quattro strofe dell’ode Alla Gioia e che fu eseguita per la prima volta a Vienna il 7 maggio 1824.
In questo modo, ha scritto ancora Luigi Della Croce, Beethoven “rompe con tutte le convenzioni e crea un poema filosofico-musicale commisurato certo più all’estensione e al peso dei concetti scritti che non ad uno schema formale comparabile, per equilibrio di proporzioni interne, a quello tradizionale.
La sua preoccupazione principale è apparentemente di dare un efficace aspetto sonoro a quegli ideali di gioia nella fratellanza e nell’amore universale, che Rivoluzione francese, filosofia di Kant, illuminismo massonico e religione cristiana – quattro fra le principali fonti del pensiero beethoveniano – avevano contribuito a diffondere alla sua epoca e che, sul piano poetico, Schiller aveva saputo abilmente compendiare nella sua celebre ode.”
Un secolo e mezzo dopo, cioè nel 1972, il Consiglio d’Europa scelse come proprio inno un frammento del quarto movimento della Nona Sinfonia di Beethoven, adattato dal direttore d’orchestra Herbert von Karajan; ma senza le parole dell’ode Alla Gioia di Schiller, perché, dice la motivazione, “senza parole, con il linguaggio universale della musica, questo inno esprime gli ideali di libertà, pace e solidarietà perseguiti dall’Europa.”
Nel 1985, poi, l’inno del Consiglio d’Europa fu adottato anche dalla Comunità Economica Europea, da cui è passato all’Unione Europea.
Per evidenziare il contributo dato dall’Italia repubblicana e democratica alla libera e pacifica istituzione del Consiglio d’Europa, della Comunità Economica e dell’Unione Europea, noi abbiamo inserito il loro inno nel nostro Concerto Civile.
A tal fine, abbiamo adattato il motivo melodico di Beethoven e abbiamo realizzato la prima traduzione ritmica italiana integrale dell’ode Alla Gioia di Schiller, aggiungendo alle nove originarie una decima strofe, che ne riprende e rilancia l’auspicio di gioia e di fratellanza universale alle generazioni umane, che si succedono e si rinnovano nelle persone e nei volti con il passar degli anni e il costante ruotar del nostro mondo intorno al Sole.
La storia continua su questo articolo>>